Last updated on Aprile 15th, 2013 at 09:44 am
I boss si catturano privandoli del sostentamento economico che tanti accoliti sono pronti a fargli pervenire.
Ed è proprio per fare terra bruciata attorno al latitante numero uno di Cosa nostra trapanese, Matteo Messina Denaro, ricercato dal 1993, e per giungere al più presto alla sua cattura che gli investigatori da anni sottraggono ingenti patrimoni che gli sono in qualche modo riconducibili e che sono nella disponibilità di persone a lui compiacenti.
E’ quanto è accaduto anche con il sequestro preventivo di beni per un valore di 10 milioni di euro che vanno a sommarsi a quelli per un valore di oltre 50 mila euro a cui nelle ultime settimane hanno apposto i sigilli gli uomini della Dia nel Trapanese.
Lo scorso 29 novembre sono stati sequestrati aziende commerciali, immobili e auto, per 500mila euro, nella disponibilità del 45enne Gaspare Como, cognato di Messina Denaro e pregiudicato per associazione a delinquere ed estorsione.
Pochi giorni prima, il 16 novembre erano stati sequestrati beni per un valore di 5 milioni di euro a un presunto fiancheggiatore di Messina Denaro, il 57enne Leonardo Ippolito, ritenuto sia l’organizzatore di buona parte degli attentati incendiari scoperti durante l’indagine «Golem II» sia un «postino» del latitante. Il 20 novembre sono stati confiscati beni per 45 milioni di euro ai castellammaresi Mariano Saracino, di 65 anni e Giuseppe Pisciotta, di 69 anni, soci in imprese edili e produzione di conglomerati cementizi. Di Saracino in passato si è parlato come del «ministro delle Finanze».
Negli ultimi anni il business più redditizio per la mafia trapanese sembra essere quello legato alla green economy, alle energie rinnovabili. Lo dimostrano operazioni come «Eolo» del 2009 ed altre successive che hanno messo in luce l’intreccio mafia, politica e imprenditoria.
Uno dei nomi di maggiore «peso» è quello dell’imprenditore alcamese Vito Nicastri ritenuto vicino a Messina Denaro.
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