Last updated on Ottobre 19th, 2012 at 09:28 am
Storicamente, nelle famiglie contadine più o meno facoltose ,vigeva un criterio selettivo che impegnava il futuro dei propri figli: se erano svegli, perspicaci e intelligenti, studiavano e veniva loro assicurata la carriera di medico, avvocato, ingegnere o, se aveva la vocazione, ad alto prelato. Chi “non aveva testa” o difficoltà ad applicarsi, restava in campagna, a curare e gestire la proprietà agricola.
Così nel tempo si sedimentò e consolidò nel settore agricolo, attraverso una sorta di selezione al ribasso una “debolezza culturale”, che ha contribuito, non poco a marginalizzare l’agricoltura e relegarla tra le attività neglette, la cenerentola.
Ma vi è di più. Quando poi furono istituiti le scuole di agraria e l’agronomia elevata a dignità professionale, molti giovani, nel rifuggire i corsi di studi più impegnativi, non trovarono di meglio che sfruttare i facili approdi messi a disposizione dal fertile ingegno di Arrigo Serpieri. Al ché , il vecchio, saggio contadino avrebbe commentato: “chiama l’orvu chi t’accumpagna” “
Queste, sono certo, scherzose semplificazioni di una realtà molto più complessa e complicata e … gli accenni volutamente paradossali, non hanno alcun intento nel mancare di riguardo verso tecnici e agricoltori con cui intercorrono rapporti di fattiva collaborazione e profonda stima.
Tuttavia è innegabile che nella storia e nella cultura dominante, “la campagna” o in genere la “ruralità” sono stati termini quasi da esorcizzare, una etichetta infamante , un vissuto da cui fuggire il più lontano possibile, nella stolta convinzione che la vita agreste equivalesse sempre e comunque a fame, miseria ed ignoranza e che dietro il “rurale” si celasse il populismo reazionario, l’infido interclassismo quello, che ha sempre ossessionato la sinistra . Così i contadini del sud venivano identificati come “sanfedisti”, forcaioli, sordi e insensibili ai richiami risorgimentali (ricordate i fratelli Bandiera o Carlo Pisaccane?), o peggio, briganti, mentre quelli del nord passavano per “austriacanti” Un retaggio evocato ed esaltato dal peso e dal ruolo sempre più determinante, che la realtà urbana assolveva nella vita politica,sociale e culturale.
E la campagna? Da tempo la nobiltà e la borghesia hanno utilizzato le tenute agricole quali occasione d’investimento, produzione, prestigio, residenza di piacere fino a che, i conflitti di classe nelle campagne e la rivoluzione industriale, non ne modificarono radicalmente sia l’assetto sociale che produttivo.
Che cosa ne è rimasta della nostra vecchia fertile terra?. Un mero supporto fisico, un semplice ancoraggio! E gli interventi colturali? Sono quasi esclusivamente condizionati dalla chimica, dalla meccanica e dalle biotecnologie e destinati sempre più a sovrapporsi e/o sostituirsi, in modo invasivo, ai naturali processi biologici!
Così l’attività e le produzioni agricole sono sempre più influenzate, anzi condizionate, dal mercato globale che ne modella il paesaggio, segnato, ormai dalla monotonia della monocultura e, consegna la “campagna” come appendice, semplice segmento, della complessa filiera agro-industriale!
Osservate, per un istante gli allevamenti zootecnici “intensivi”, vengono catalogati come “agricoli” ….. per ovvia convenienza fiscale.
Ma ci siamo chiesti che nesso mantengono con l’agricoltura? Arrivano camion carichi di mangimi e foraggi e ne escono con liquame destinato ad alimentare centrali di biogas o concimi quasi chimici (digestati e trattati) E il latte? Quasi un prodotto secondario.
Eppure, alcuni interventi di politica comunitaria, in linea di principio, sull’onda di emergenze ambientali e sanitarie avevano posto la giusta attenzione ad un processo di “ruralizzazione” della nostra agricoltura onde favorire principi di qualità, rispetto dell’ambiente, difesa del paesaggio e del patrimonio agricolo ecc. Ma come al solito rischiano di finire nel vecchio tran–tran di aiuto alle imprese e a quelli di trasformazione agro-industriale di agricoltura convenzionale. Il sostegno alla vera “ruralità” viene vanificata dalla imposizione di adempimenti burocratici o da pretestuosi “parametri” pseudo–economici, che relegano i piccoli produttori in posizione di sicuro svantaggio.
Ma è proprio vero, come sostengono gli esponenti dell’agricoltura industriale, che la “vera” agricoltura, che da mangiare e sfama la gente, è quella specializzata, industrializzata, chimicizzata e …. il resto e roba da sognatori o di nostalgici perditempo?
Questa agricoltura che “sfama” la gente è un subdolo inganno: è inefficiente perché utilizza circa 10 kilocalorie per produrne 1kilocaloria . Inoltre è inquinante e sprecona. Ma in queste affermazioni si nascondono pregiudizi antirurali, per il quale la dimensione “campagnola” esprime solo subalternità ,miseria e residualità .
Queste posizioni riaffermano che lo spazio rurale, in senso fisico e sociale rappresenti un ricettore passivo di valori esogeni, gentilmente elargiti dalla società urbana.
Invece il “rurale” è capace di esprimere oggi come ieri valori endogeni molto più significativi, molto pertinenti, specie in questa nostra epoca gravata da profonde crisi da cui non sembra facile trovare vie di uscite.
Viviamo in un contesto dove i media sono tesi alla celebrazione di una immagine idilliaca delle dimensioni rurali, delle produzioni del “terroir”, in cui si assaporano o si evocano “atmosfere contadine”. In un mondo dove la maggior parte della popolazione vive in agglomerati urbani e dove l’agricoltura e la trasformazione alimentare sono talmente industrializzate, i “revival” del Mulino Bianco, usano l’angoscia del consumatore che di fronte alla artificializazione di ogni aspetto della vita e del consumo, desidera essere rincuorato o coccolato con rappresentazioni che sfruttano i richiami alla tradizione al naturale all’antico (antico forno a legna, antico frantoio a pietra, antica osteria con cucina casalinga ecc.)
I meccanismi della promozione dei consumi modulano abilmente, dosandoli tra loro, i richiami alla nostalgia da una parte e la tensione schizofrenica verso l’incessante nuovo il tecnologicamente avanzato.
Perciò lo spazio rurale non è un terreno definitivamente pacificato tra produzione industriale (o produzioni no food) e uno spazio di consumo bucolico e compensativo, ricreativo od emozionale o delle de-privazioni delle condizioni stressanti imposte dallo stile di vita urbano-industriale. La campagna diviene ambito sociale conteso, un terreno di scontro che riguarda l’uso dello spazio rurale, la produzione di cibo, l’energia rinnovabile, le risorse culturali e genetiche o playgrounnd per le classi medie urbane, presepe ritemprante, spazio residenziale, dove le attività ricreative assumono valenza educativa e sociale e si integrano con quelle produttive.
In questo contesto emergono assunti nuovi e diversi culturalmente significativi nati nelle nicchie ecologiche delle odierne dinamiche sociali. Sono apporti umani, esperienze maturate e sofferte, i neoruralisti culturalmente avanzati, legati da un lato alle esperienze familiari, difesa della loro identità, ancoraggio solido delle proprie radici, opportunità per riappropriarsi orgogliosamente delle proprie origini. Una mia carissima amica, madre affettuosa è ansiosa per un futuro incerto riservato ai giovani, mi esprime non poche perplessità circa la decisione del figlio di impegnarsi nel gestire l’azienda agricola di famiglia. Sarò molto radicale, ma non ho mai visto attecchire “radici” nell’asfalto cittadino, ne tra gli scatoloni di cemento, vedo sempre più cumuli di immondizia nauseabonda accatastate per le vie delle città.
E se provassimo ad invertire il paradigma ovvero il “criterio selettivo” espresso all’inizio con cui abbiamo aperto questo articolo?
Le intelligenze più fervide si riverseranno nelle campagne e saranno popolate da giovani che amano la terra, la natura, riscopri ranno le emozioni per la nascita di un vitello e ascolteranno stupiti il suono emesso dalle fogli secche del mais in autunno.
Riformuleranno la cultura della “sobrietà” attraverso il Recupero, il Risparmio, il Riciclo, il Riparare il Riutilizzare, Ristrutturare, Rivalutare. Una nuova “scienza” agricola dove non esistono discipline separate e, il pensiero cresce nell’esperienza diretta, nell’immensa sapienza …. spaziando libero fra religione, filosofia, climatologia fisica, chimica ….
Cosi che coltivando i campi, coltivano la loro ….. anima
Giuseppe Bivona