Un anno di estrazione nell’Isola equivale a un solo giorno di consumo in Italia: ma il prezzo ambientale è altissimo.
Un anno intero di estrazione in Sicilia, 2 milioni e 100mila barili, equivale a poco più un giorno di consumo nazionale che ammonta a un milione e mezzo di barili. Questo uno dei tanti dati che, da solo, secondo Rita D’Orsogna, docente associata alla California State University, deve far riflettere sulla inutilità delle trivellazioni nei mari siciliani.
È uno dei tanti dati che sono emersi dal convegno “Terra e mare al tempo del petrolio” che si è tenuto a Sciacca e che è stato organizzato dal comitato “Stoppa la piattaforma”. Il convegno è stato anche un momento di adesione di nuovi movimenti e comitati contro il via libera alle trivellazioni petrolifere.
Mario Di Giovanna, ingegnere e portavoce del comitato che ha organizzato la giornata, ha illustrato la mappa delle concessioni petrolifere in Sicilia, quella che per i movimenti è la nuova minaccia che incombe nel Ragusano e nell’Agrigentino per le nuove richieste di trivellazione.
«La richiesta probabilmente è stata inserita e catalogata erroneamente ad arte come zona F Puglia – ha sostenuto Di Giovanna – mentre in Sicilia sono zone E e G per sfuggire agli occhi attenti degli ambientalisti siciliani». Ha poi sottolineato che si stanno ignorando le problematiche legate all’area vulcanica prospiciente la costa agrigentina, alla pesca e al corallo di Sciacca.
D’Orsogna, docente di Fisica nata nel Bronx e laureata a Padova, si batte contro la petrolizzazione dell’Italia fin dal 2007, quando da Los Angeles, dove vive, iniziò la sua battaglia contro la trasformazione in un parco petrolifero dell’Abruzzo di cui è originaria. Ha iniziato la presentazione spiegando perché lo “Sblocca Italia” viene anche definito “Sblocca trivelle” con durata del titolo concessionario unico di 50 anni, titoli sperimentali, rilascio permessi a 180 giorni, alleggerimento delle tutele ambientali, distanza dalla costa per le trivellazioni offshore ridotta a 12 miglia.
La docente ha snocciolato le stime sull’inquinamento generato in mare: le sole perdite fisiologiche di petrolio sono il 5% di tutti i pozzi ad inizio attività e il 60% dei pozzi in 30 anni di attività. C’è poi quello derivante dai rifiuti delle perforazioni, dato che, come ha sostenuto D’Orsogna, per ogni barile di petrolio ammonta a 10 di rifiuti altamente cancerogeni contenenti metalli pesanti, arsenico, mercurio, benzene, idrogeno solforato, che vengono normalmente scaricati a mare.
«Nel suo periodo di attività una piattaforma genera 90mila tonnellate di inquinanti con effetto su fauna marina, pesci e crostacei al mercurio, poi immessi nella nostra catena alimentare – ha spiegato –, senza poi parlare degli incidenti. Se ne registrano circa 500 all’anno, alcuni dei quali veramente disastrosi, si pensa per esempio a quello del 2010 nel Golfo del Messico: tra i 3 e i 5 milioni di barili riversati in quasi 100 giorni di perdite. Inoltre, il petrolio italiano è più difficile da estrarre, perché più in profondità o in zone sismiche, è meno pregiato e deve essere desolforato in prossimità del pozzo, con ulteriore immissione di gas tossici e cancerogeni nell’atmosfera. Per questo motivo fino ad oggi i giacimenti italiani non avevano attratto molto interesse, ma ora lo Sblocca Italia lo rende più competitivo».
Il dato che deve far riflettere per gli oppositori alle trivellazioni è che il poco petrolio contenuto nel territorio italiano non risolverà il problema energetico: un giorno di autonomia per un anno di estrazione e 100 giorni su 35 anni, ma in compenso mette a serio rischio le nostre coste e la salute dei cittadini.
«È comunque un affare per i petrolieri che con costi di estrazione dell’ordine di 11 dollari al barile e prezzo medio di 72 al barile, con le royalties più basse del mondo hanno senz’altro alti rendimenti – ha spiegato Fabio Bruno, presidente del Movimento per la difesa dei territori – e contro le trivellazioni nel Mediterraneo abbiamo lanciato una petizione on line». Il Mdt nasce nel 2013 a Nicosia in provincia di Enna per difendere le aree marginali dalla spoliazione di servizi e infrastrutture ed è adesso impegnato anche su questo fronte con la “costruzione” di una rete tra movimenti e comitati contrari alle trivellazioni.
Giulia Martorana de La Sicilia
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