Nei giorni scorsi il problema sull’accoglienza dei migranti sembrava aver riconquistato attenzione. La visita di Papa Francesco a Lampedusa ha avuto, tra l’altro, il merito di ricordare il dramma dei viaggi della speranza, il dolore per le vittime delle traversate, il malessere per non riuscire a fornire idonee misure all’arrivo dei superstiti.
Poi, era venuta la proposta, da autorevole fonte, di conferire alla Sicilia e a Lampedusa il Nobel per la pace, inspiegabilmente ignorata dalle autorità istituzionali siciliane.
Da Tempi e Terre, infine, un contributo di conoscenza: le rotte dei migranti non passano più obbligatoriamente da Lampedusa ma hanno moltiplicato i punti di approdo, quasi se chi le traccia avesse intuito come la concentrazione in un unico luogo, creando disagio insostenibile, provocherebbe strategie di contrasto con maggior dosaggio di respingimento. Al tempo stesso però la frammentazione degli sbarchi moltiplica le risorse necessarie per i primi interventi e ripropone una domanda subdola, sulla cui mancata o insufficiente risposta alcuni partiti, in passato, hanno costruito le loro fortune elettorali: è giusto non porre alcun limite all’accoglienza? Proviamo a fornire alcuni elementi di analisi.
La nostra Costituzione impone di ascoltare le persone che richiedono asilo in Italia perché nel loro paese sono violati diritti umani. Non esistono al momento forme di contingentamento per l’accoglienza. Nel 2011 sono state accolte nel nostro paese circa 10 mila persone, pari al 40% dei richiedenti.
Chi arriva in Italia alla ricerca di un lavoro, i cosidetti migranti economici, non può invece usufruire del diritto di asilo.
L’Italia dispone in teoria di sistemi di controllo e procedure di espulsione. In un articolo pubblicato su «La Voce. Info» (28.07.2013) si segnalano sul punto alcune criticità: intanto, la contraddizione tra politica e mercato. Nel passato le esigenze del primo hanno prevalso sulle regole delle seconde (sette leggi di sanatoria in venticinque anni). Oggi, la crisi economica sta fortemente incidendo, in negativo, sull’offerta di lavoro degli immigrati.
Poi esiste una questione normativa legata alla libertà di frontiera: circa un milione e mezzo di immigrati è cittadino dell’Unione Europea. Sono soggetti che, se colpiti da un procedimento di espulsione, possono tranquillamente rientrare in Italia.
Ma, eccoci al terzo nodo, le espulsioni sono rarissime perché particolarmente costose; non superano il 2%.
Di fronte a queste problematiche irrisolte sorge un dubbio atroce: nella difficoltà di costruire un sistema ragionevole di regolazione della mobilità attraverso le frontiere, è possibile che in silenzio sia stato deciso di scaricare i prezzi dell’impatto su due Regioni del Sud: Sicilia e Calabria? Le Regioni cioè che fanno da porto naturale, con le loro coste protese nel Mediterraneo del Sud, alla partenza dei porti del Nord-Africa?
Puntando sulla promessa, mai finora mantenuta, della concessione di risorse compensative. Chiudendo un occhio sulle economie di assistenza, parallele alla solidarietà, nelle quali di tanto in tanto l’emergenza fa premio sulla legalità. Contando sulla dispersione sociale dell’estremo Sud grazie alla quale Capo Passero è lontano da Lampedusa quanto Catania da Malta.
Ovvero, incoraggiati da un circuito di passaggio ormai consolidato: si sbarca in Sicilia ma si riparte poi per la Svezia. Che gode, azzerando una parte dei costi di ricevimento di un aumento del capitale umano.
Ma, se cosi è, non sarebbe giusto se la Svezia contribuisse con attività di volontariato e attrezzature idonee ad accogliere i migranti nell’estremo Sud? Oltre che concedere alla Sicilia l’agognato Nobel per la Pace.
Sicilia Notizie Cronaca Attualità News Politica Economia Lavoro Enogastronomia Sport Viaggi